lunedì 5 novembre 2012


La rocchiggianella latitante
Dare spessore e qualità ai festeggiamenti della sagra

Dolciumi, salsicce, vino, polenta, zucchero filato, pannocchie, crepes. Poi anche le castagne. Erano la cosa meno buona della sagra.
Non sanno di niente!, e ancora: Un cartoccio due euro e mezzo e sono tutte bruciate! Oppure: Ma da dove vengono? Certo non da Rocca di Papa, che fa la sagra ma ha pochissime castagne da frutto, infatti gli alberi sono quasi tutti da legno. In questo siamo in buona compagnia con Nemi che fa la sagra delle fragoline, vanto - una volta - degli orti intorno al lago, oppure con Lariano che fa la sagra del porcino, con funghi che vengono comprati con grande anticipo soprattutto in Romania.
Le sagre sono eventi annuali che attirano folle di turisti, se ben gestite diventano un affare per gli organizzatori e per la città che le ospita. Rocca di Papa non fa eccezione e da 33 anni organizza una sagra che ha a che fare con il paesaggio dei suoi boschi, anche se le castagne si comprano fuori. Va bene, va sempre bene, non ci sarebbero troppi problemi, anche con prodotti che arrivino, si spera, da non troppo lontano. Solo che per come è stata organizzata negli ultimi anni la sagra è diventata sempre più una mediocre fiera di paese. La qualità dei prodotti celebrati non è controllata proprio da nessuno. Ciascun rivenditore è libero di comprare le castagne dove meglio crede e metterle sui banchetti e pazienza se non sono squisite come l’evento dovrebbe garantire. Tanto la folla di turisti è così straripante che non si hanno rapporti con dei clienti da fidelizzare, ma con frotte di occasionali avventori che pure se non rimarranno soddisfatti saranno sostituiti da altri. Una logica mercificante che si lascia alle spalle la cura dei prodotti e il rispetto per le persone alle quali li si offre.
Nel luccichio della sagra poi c’è di tutto e, nonostante i lodevoli sforzi dei tanti partecipanti all’organizzazione, alcune cadute di stile non si possono non notare. Capita di imbattersi in piatti di polenta dai sughi “sbrigativi”, diciamo così, o in stand montati alle meno peggio. Ma dopo alcuni decenni non si poteva arrivare a qualche forma di allestimento più decorosa?
Per il resto le feste di paese a noi piacciono assai, con quel sapore di strapaesanità che rimanda a consuetudini antiche, magari rispolverate per l’occasione. Quello che piace meno è quando si fa un po’ il verso alle tradizioni, o quando ad esempio lo stornellatore di turno cade nel pecoreccio, quando la battuta supertriviale diventa il segno distintivo di qualcuno che tenta di far ridere da qualche palco.
Abbiamo un altro anno davanti, la 34° sagra avrebbe bisogno di qualche correttivo. C’è qualcun che ci penserà?


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